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TRIPOLI, ultimi giorni di un'altra vita

traduzione inglese del testo

MARIO CONTI

Grazia ed io eravamo a Tripoli, nei mesi appena precedenti i fatti che portarono all’uccisione di Muammar Gheddafi e infilarono il Paese in un tunnel di cui non si vede la fine. 

Più volte, da allora, siamo riandati con la mente a quel soggiorno come a una visita a un mondo sospeso, ignaro di quel che c'era dietro l'angolo, e tuttavia soffuso di una malinconia che sa di presagio. L’orribile e immeritato capitolo odierno di quella terra sfortunata mi fa venir voglia di rispolverare le immagini di quei giorni, ma con uno sguardo diverso, oggi consapevole.

Da scuri androni e supportici o da calcinate viuzze, persone ci lanciano sguardi che ora mi sembrano richieste. Le ricche e maestose pietre di Leptis Magna - che con Sabratha è sempre Tripoli, “le tre città” - mi ricordano che per questi luoghi i Romani avevano progettato pace e prosperità, perchè per loro anche qui era Roma. All’ingresso del Museo della Libia nell’imponente Assaraya Alhamra ci accolgono due grandi pannelli fotografici - di apparentemente diverso segno politico - il cui risalto allora ci sorprese, oggi ci appare polveroso, remoto, un sic transit gloria mundi.

In ultimo, nel Foro di Settimio Severo, in una livida testa di Gorgone coronata da bestie che digrignano i denti oggi leggiamo tutto il male annunciato a questo Paese.

 

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